lunedì 29 settembre 2025

Il varco di Firenze - Puntata 20


Vittorio, ancora scosso dal rapido susseguirsi degli eventi e dall'assurda realtà della loro missione, si guardò intorno con un misto di stupore e interrogazione. La cantina, un tempo forse un semplice deposito di vino e attrezzi agricoli, ora pulsava di una vita tecnologica che strideva con le mura di pietra umide e i soffitti a volta. Ogni pannello isolante, ogni cavo schermato, ogni schermo olografico che già fendeva l'aria fredda, testimoniava un lavoro meticoloso e una preparazione che sembrava impossibile che Luca avesse completato in così poco tempo, e soprattutto. Gli occhi verdi di Vittorio, pur stanchi, si posarono su Luca, che armeggiava con una consolle, la sua figura paffuta che emanava una concentrazione quasi sacrale. "Luca," iniziò Vittorio, la voce rauca che risuonava appena nell'aria densa, "questo... questo è incredibile. Ma come? Come hai fatto a trasportare qui tutto questo equipaggiamento, questi server, queste... apparecchiature, in così poco tempo? E senza che nessuno si accorgesse di nulla?"

Luca sollevò lo sguardo dai circuiti che stava ispezionando, e un sorriso sottile, quasi impercettibile, gli increspò le labbra, un bagliore di orgoglio e pragmatismo che illuminò per un istante il suo volto serio. "Professore, questa non è una preparazione dell'ultimo minuto," spiegò con la sua voce un po' nasale, che però ora aveva un tono di ferma sicurezza. "Questa casa è da tempo un mio rifugio. E questa cantina, nello specifico, è il mio vero 'laboratorio segreto'. Ho sempre avuto una certa... previdenza. Tutto ciò che vede qui è stato assemblato nel corso di anni, pezzo dopo pezzo, un vero e proprio backup per i miei esperimenti più... diciamo, 'non convenzionali', quelli che non potevano e non dovevano figurare nei registri ufficiali dell'Università. Ho sempre pensato che, prima o poi, sarebbe servito un luogo completamente off-grid, un santuario lontano da occhi indiscreti e algoritmi predittivi." Si alzò, indicando con un gesto della mano verso la porta di accesso in cima alle scale, ora chiusa. "E l'ingresso, professore, è perfettamente mimetizzato. La piccola portadi accesso è di solito celata da un armadio scorrevole, uno di quelli massicci, che la rende invisibile a chiunque non sappia cercarla. È il luogo più sicuro che abbiamo, la nostra unica chance."

Gli occhi di Vittorio, annebbiati fino a un istante prima dalla stanchezza e dal terrore, si sgranarono in un misto di incredulità e profonda, quasi reverenziale, ammirazione per la lungimiranza di Luca. La sua mente, un attimo prima avvolta nella disperazione per la perdita del sito sotto la Cupola e del controllo sul progetto, si illuminò di una luce inaspettata, un'emozione che quasi lo stordì. Accanto a lui, Valentina emise un respiro trattenuto, un suono appena udibile, la sua espressione di seria concentrazione che si trasformava lentamente in pura estasi intellettuale. I ricci scuri le incorniciavano un volto dove la sorpresa e l'ammirazione per la geniale pazzia di Luca si mescolavano a un inatteso barlume di speranza. Guardavano Luca, non più solo il collega, l'esperto di IA, ma un maestro di astuzia e previsione, un uomo che aveva preparato un rifugio per l'ignoto quando ancora l'ignoto era solo una flebile ipotesi teorica.

L'aria della cantina, un attimo prima gravata dal peso di segreti inconfessabili e di una minaccia invisibile, ora sembrava vibrare di una nuova, febbrile energia. In quel luogo dimenticato dal mondo, le cui mura antiche promettevano un anonimato impenetrabile, dove le minacce dello Stato non potevano giungere e gli algoritmi predittivi erano ciechi, si apriva la possibilità concreta di continuare la ricerca più audace della storia. La realizzazione di poter operare nell'ombra, lontano dallo sguardo gelido di Morandi, senza il fiato sul collo di De Santis, riempiva Vittorio di una determinazione ritrovata, un'ondata di adrenalina che spazzava via la stanchezza e il senso di impotenza. Per Valentina, era la promessa di una libertà scientifica inaudita, la possibilità di sondare l'abisso temporale senza compromessi, guidata solo dalla logica e dalla insaziabile curiosità. In quella vecchia cantina toscana, tra i cavi schermati e gli schermi pronti, il loro destino si ridisegnava, un patto silenzioso e audace contro le forze che minacciavano di inghiottire non solo loro, ma la stessa tessitura del tempo.

Mentre Vittorio, Luca e Valentina si preparavano a scomparire nell'ombra della cantina nel Valdarno, l'eco del loro patto silenzioso risuonava nelle pareti dell'attico di Coverciano. La responsabilità di tessere una rete di menzogne per proteggere la loro copertura era caduta principalmente su Eloisa, il suo compito più arduo: mantenere una facciata di normalità per Giulio e per il mondo esterno. Vittorio, con il cuore stretto in una morsa di colpa, le aveva fornito le direttive: il suo "periodo di riposo" forzato si sarebbe trasformato in un "incarico di consulenza urgente e altamente confidenziale" per un consorzio internazionale, richiesto per la sua eccezionale competenza sui "fenomeni energetici non convenzionali". Un progetto talmente segreto, le era stato imposto di dire, da esigere un isolamento quasi totale, con comunicazioni limitate e criptate, quasi a giustificare l'assenza di contatti diretti. Eloisa aveva annuito, il suo volto pallido ma risoluto, la paura che le danzava negli occhi marroni ma anche una ferma determinazione a proteggere il suo mondo, costi quel che costi. Ogni parola che avrebbe pronunciato a Giulio, ogni spiegazione data ai curiosi colleghi dell'Università o ai vicini, sarebbe stata un mattone di quella fortezza di menzogne, un sacrificio silenzioso per la loro sopravvivenza.

Valentina, dal canto suo, aveva orchestrato con meticolosa precisione la sua personale sparizione. Ai suoi familiari, ai colleghi meno intimi, e a chiunque altro potesse chiedere, aveva raccontato di aver accettato un'opportunità unica: una spedizione di ricerca geofisica in Africa, un progetto innovativo sull'energia geotermica in regioni remote, che avrebbe richiesto mesi di isolamento e scarsissime possibilità di comunicazione. Aveva persino simulato preparativi plausibili, mostrato foto di equipaggiamento da campo e documenti di viaggio falsificati, un'illusione così convincente da suscitare ammirazione e un po' di sana invidia accademica. I suoi genitori, seppur con un velo di preoccupazione per i pericoli di un continente così lontano, erano stati in fondo orgogliosi della sua audacia e della sua ambizione. Luca, invece, portava il fardello più leggero. Senza genitori e con un fratello lontano oltreoceano, la sua assenza dalla vita sociale già ridotta all'osso, non avrebbe destato alcun sospetto. La sua routine, fatta di immersioni digitali e lunghe ore di lavoro solitario, non avrebbe subito scossoni apparenti. Era la libertà che gli permetteva di essere l'ancora di quella nave clandestina, la mente silenziosa che avrebbe ospitato l'ignoto, mentre all'esterno, le tre vite che si erano appena intrecciate in un patto di segretezza si diluivano nel vasto, inconsapevole, respiro di Firenze.

Il silenzio antico della cantina si ruppe, cedendo il passo a un nuovo, febbrile ronzio che ora riempiva l’aria terrosa. Luca, con la sua inaspettata efficienza, aveva già attivato le console principali, i monitor curvi che si accendevano con un bagliore freddo, proiettando nell’aria umida una miriade di interfacce olografiche. Vittorio, con il drive criptato stretto in mano, si sentiva come un sacerdote che si appresta a officiare un rito proibito, la stanchezza scavata negli occhi, ma una nuova, ardente scintilla di speranza che gli riaccendeva lo sguardo. Valentina, accanto a lui, preparava gli ultimi sensori miniaturizzati per monitorare la simulazione, la sua presenza una solida roccia in quel mare di incertezza, i ricci scuri che le incorniciavano il volto concentrato. Il loro primo, audace passo in quel santuario clandestino: la ricreazione del punto di risonanza sotto la Cupola. Non fisicamente, non con i sensori di Firenze, ma in un guscio digitale, una simulazione quantistica che avrebbe replicato con precisione maniacale le condizioni rilevate sotto l’altare maggiore, ora al sicuro nell’isolamento del Valdarno, lontano dagli occhi degli agenti e dalla minaccia del tempo che stringeva.

Sugli schermi, sotto la guida sapiente di Luca e con i dati del drive che venivano inghiottiti dai server potenziati, iniziò a materializzarsi una replica eterea della Cupola del Brunelleschi, un fantasma olografico che prese forma al centro della cantina, sospeso nell’aria. Era una meraviglia di precisione, una riproduzione in scala ridotta di quella geometria perfetta, ma ogni dettaglio, ogni linea di forza, ogni interazione quantistica era ricreata con una fedeltà assoluta, un vero e proprio specchio digitale del colosso di pietra. E al suo centro, lì dove i sensori avevano urlato la loro anomalia, prese forma una sottile increspatura di luce, un fremito nel tessuto olografico: la simulazione del varco temporale. Non era un buco nero, non un portale visibile e fiammeggiante, ma una "faglia" quantistica, un punto di instabilità che, pur se ridotto in dimensioni, riproduceva fedelmente le proprietà dinamiche e le firme energetiche dell’originale. Era il loro campo di battaglia, una finestra sull'abisso del tempo, la loro unica speranza di capire come la Cupola interagisse con il flusso cronologico, come imbrigliare o, peggio, come chiudere quella porta che Vittorio aveva involontariamente spalancato.

(Continua nei prossimi post tutti i lunedì)

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