lunedì 20 ottobre 2025

Il varco di Firenze - Puntata 23


La discussione sul "piano di passaggio" si fece subito tesa, un brusio sommesso che echeggiava tra le pareti umide della cantina. La consapevolezza che oltrepassare il varco simulato fosse un azzardo mortale per tutti e tre, lasciando l'altro lato completamente sguarnito in caso di fallimento, calò su di loro con la gravità di un macigno. I loro sguardi si incrociarono, ognuno misurando nell'altro non solo le competenze, ma la fibra morale, la capacità di reggere la pressione dell'ignoto. Vittorio, con la sua intuizione quasi mistica sul fenomeno, sentiva il richiamo del varco come una vocazione ineludibile; la sua mente aveva dato inizio a tutto, e solo lui, credeva, poteva sondarne fino in fondo l'abisso. Valentina, la cui intelligenza affilata era pari solo al suo sangue freddo, si offrì con una calma risoluta: la sua meticolosità analitica e la sua capacità di reazione rapida la rendevano un complemento ideale al professore. Luca, pur desideroso di partecipare attivamente all'esplorazione, sapeva che la sua postazione era su "questa sponda": l'architetto dell'IA, il custode dei protocolli di riancoraggio, l'unico in grado di interpretare in tempo reale le fluttuazioni quantistiche e di innescare il rientro d'emergenza. Era l'ancora della loro spedizione, indispensabile per la loro stessa sopravvivenza.

Fu un accordo tacito, più che una decisione formalmente deliberata, intessuto di un terrore palpabile ma anche di una fiducia incondizionata. Vittorio e Valentina avrebbero osato il primo passo, due figure destinate a navigare l'ignoto, mentre Luca avrebbe vegliato sul loro ritorno, il suo compito non meno cruciale, ma relegato alla solitudine della cantina. Il silenzio che seguì fu profondo, rotto solo dal ronzio delle apparecchiature, un silenzio gravido di promesse e pericoli inimmaginabili. Le loro mani si strinsero, un patto silenzioso siglato nell'ombra della cantina, consapevoli che il filo che li avrebbe legati al loro tempo e alla loro realtà sarebbe stato sottile come un'onda quantistica, e che il destino di Firenze, e forse di tutti gli universi, poggiava sulle spalle di quei tre scienziati, pronti a sondare l'abisso temporale.

Il patto silenzioso siglato tra le mura antiche della cantina non avrebbe tardato a tessere una rete di menzogne attorno a loro, un fragile bozzolo destinato a proteggere chi restava fuori dall’abisso che stavano per sondare. Un messaggio criptato, generato da un canale sicuro orchestrato da Luca, raggiunse Eloisa nella quiete ingannevole dell’attico di Coverciano. Poche righe di testo che non lasciavano spazio a dubbi, confermando l'assenza di Vittorio per un "incarico di massima urgenza e isolamento", ma che, nel loro tono sottilmente allusivo, risuonavano con l'eco delle sue parole sul varco, sugli agenti, sulla paura. Eloisa lesse e rilesse, il suo cuore che si stringeva in una morsa di terrore e, al contempo, una ferrea determinazione. Era la conferma che il loro mondo era cambiato per sempre, che Vittorio era davvero scomparso nell'ombra di quella cantina, ma anche che la sua lotta era ora la loro. Allo stesso modo, un'altra comunicazione, attentamente calibrata per la plausibilità, giunse ai familiari di Valentina Moretti. Non un allarme, ma l'ennesima rassicurazione del suo "progetto di ricerca geotermica in Africa", una spedizione audace che avrebbe richiesto isolamento e comunicazioni sporadiche, Luca, tramite l'intelligenza artificiale avrebbe simulato la presenza della collega nelle eventuali videochiamate con la famiglia. Eppure, nelle parole di Valentina, registrate con una calma quasi innaturale, c'era un'ombra, una gravità che i genitori percepirono come l'impronta di un'avventura epica, ma forse, troppo rischiosa. Credevano alla storia della savana e dei geyser, ma il cuore di madre della signora Moretti sentiva un richiamo lontano, un'ansia silenziosa che non osava nominare, ignara che sua figlia fosse, in realtà, a un passo dal sondare l'abisso del tempo.

Con l'universo esterno momentaneamente in balia di menzogne ben orchestrate, il trio si ritirò nella disciplina dell'auto-addestramento, una preparazione meticolosa e snervante per il viaggio nel tempo simulato. Vittorio e Valentina divennero un tutt'uno con i sensori miniaturizzati che avrebbero indossato: piccoli dispositivi impiantati sottopelle per monitorare ogni battito cardiaco, ogni fluttuazione neurale, e la delicata bobina del beacon temporale da posizionare sul polso, la loro unica bussola nell'ignoto. Passarono ore a calibrare mentalmente le micro-pulsazioni quantistiche, esercitandosi a sincronizzare il proprio respiro con le sequenze di attivazione della simulazione, visualizzando il "buco di spillo" temporale che li avrebbe inghiottiti. Luca, il custode della loro "spina dorsale" tecnologica, li sottoponeva a scenari d'emergenza virtuali: interruzioni del segnale, anomalie inaspettate nelle firme quantistiche del riancoraggio, improvvise derive della simulazione. Ogni errore, ogni esitazione, veniva analizzato con spietata lucidità, perché nel vero varco, non ci sarebbe stata una seconda possibilità. La cantina, con la sua atmosfera umida e l'odore di terra, si trasformò in una camera di decompressione psicologica, un simulacro claustrofobico di ciò che li attendeva: un ambiente dove il tempo, proiettato sull'ologramma pulsante della Cupola, era il loro maestro e il loro nemico, un abisso che prometteva non solo la conoscenza, ma anche l'annullamento.

(Continua nei prossimi post tutti i lunedì)

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