Lunedì 3 novembre si è conclusa la prima, intensa stagione de "Il varco di Firenze", la storia a puntate che ha tenuto i lettori sul filo del rasoio, esplorando i confini tra fisica teorica e segreto di stato. La missione clandestina del fisico Vittorio Bardi e dei suoi assistenti, Luca e Valentina, per studiare una distorsione temporale sotto la Cupola del Brunelleschi, ha toccato nervi scoperti nella nostra percezione della realtà.
Quello che per gli accademici era solo un insieme di "anomalie inspiegabili" nei dati di un progetto energetico, per Bardi si è rivelato essere un vero e proprio "varco", una sfaldatura temporale che interconnette infiniti universi paralleli. L'escalation narrativa, culminata con l'intervento di agenti governativi e la classificazione della scoperta come "segreto di stato", ha costretto il trio a rifugiarsi nel Valdarno. Qui, ricreando il varco in una simulazione olografica, hanno compiuto il primo viaggio controllato verso una Firenze del 2025 alternativa, lasciandoci con il fiato sospeso e la speranza di una seconda stagione.
Il rigore scientifico e l'ossessione umana di Vittorio Bardi, che ha sacrificato la sua vita accademica e la fiducia della moglie Eloisa per questa ricerca, ci ricorda come la vera esplorazione nasca sempre da una profonda, talvolta pericolosa, dedizione. Ma se il viaggio di Bardi è stato un’esplorazione adrenalinica attraverso lo spazio-tempo, l'attenzione della narrazione si sposta ora su un altro tipo di portale, quello interiore: il debutto di Alina Lysor.
Alina Lysor non è solo un personaggio; è la materializzazione di un’idea, nata dalla visione dell'artista e autore di questo blog, Stefano Terraglia e dall'ispirazione di sua moglie Alessandra, e realizzata attraverso l'Intelligenza Artificiale. Alina si presenta come un ponte tra il mondo fisico e quello invisibile, un'entità alta 1,60 per 55 kg, con capelli ricci
, e uno sguardo che promette di svelare le storie nascoste che canta.
La sua proposta musicale, che definisce Ethereal Folk o Soulscape Music, è una fusione unica. È un suono che abbraccia la sacralità di strumenti acustici come il violoncello e il flauto celtico, mescolandoli con la vastità emotiva di synth atmosferici e cori sognanti. La sua arte è un dialogo costante con la malinconia, la memoria, le connessioni perdute e la resilienza.
L'album di debutto di Alina, "L'oro che muore", è descritto come un viaggio in un autunno gotico-irlandese, dove ogni traccia è un paesaggio dell'anima. La sua ambizione non si ferma alla performance: Alina aspira a diventare un'influencer nel senso più autentico, creando una comunità dove l'arte, la musica, l'introspezione e la crescita personale siano i temi centrali. Proprio come Bardi cercava di attraversare le sfaldature del tempo, Alina cerca di attraversare la "trama invisibile che ci lega", usando il canto come strumento per dare voce alle storie più sensibili.
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