Con un movimento cauto, aprì la porta scorrevole che dava sul terrazzo, l'aria fresca del mattino che gli scompigliava leggermente i capelli. Il drone rilasciò un piccolo pacco, una scatola anonima di cartone riciclato, e poi si sollevò di nuovo, scomparendo silenzioso nel cielo. Vittorio la raccolse, il suo peso quasi insignificante nella sua mano, e la portò nello studio. La aprì con un gesto rapido, e il contenuto gli strappò un respiro affannoso. Non un componente elettronico, ma una delicata collana d'argento. Appeso al sottile filo metallico, un piccolo ciondolo di legno intagliato: un clown stilizzato, il suo sorriso dipinto un po' troppo largo, i colori spenti dal tempo. Era assurdo, quasi una burla, eppure il suo sguardo si bloccò su un punto preciso: sul retro del piccolo clown, incise con una precisione microscopica, c'erano una serie di linee e punti che formavano un pattern astratto, una sequenza di simboli che non aveva nulla di casuale. La mente di Vittorio scattò, fulminea. Riconobbe quell'intricata sequenza: non era un mero disegno decorativo, ma un codice, un codice che era stato creato da lui e Luca per un vecchio esperimento di crittografia quantistica, basato su un algoritmo così unico e complesso da essere di loro dominio esclusivo. Soltanto loro avrebbero potuto decifrarlo. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena: Luca. Doveva essere lui. Aveva capito l'urgenza, la necessità di comunicare al di fuori di ogni rete tracciabile. I suoi occhi verdi si chiusero per un istante, la sua mente che faceva roteare l'algoritmo, decifrando rapidamente la sequenza di simboli. E quando li riaprì, una singola, inequivocabile riga di testo fluttuava nella sua mente, chiara come un'iscrizione di pietra: le coordinate GPS dell'abitazione della vecchia zia di Luca, nel cuore segreto del Valdarno. Era un appuntamento, una convocazione in codice, e la sua ultima, disperata speranza.
Il piccolo ciondolo di legno, con il suo clown stilizzato e il codice ora decifrato, bruciava nella mano di Vittorio come un tizzone ardente. Le coordinate GPS dell'abitazione della vecchia zia di Luca, nel cuore segreto del Valdarno, gli riempivano la mente, un'ancora in quel mare di terrore. Ma appena le ultime cifre si erano fissate nella sua memoria, il comunicatore posato sulla scrivania vibrò con un ronzio quasi impercettibile, un impulso discreto che non accese alcun display visibile, ma che Vittorio riconobbe immediatamente come la firma di Luca, un canale di comunicazione ultra-criptato e non tracciabile, forse una frequenza anomala che sfuggiva a qualsiasi controllo esterno. Con un gesto rapido, si portò il dispositivo all'orecchio, il cuore che gli batteva un ritmo martellante contro le costole. La voce di Luca, filtrata, quasi un sussurro digitale, suonò direttamente nei suoi condotti uditivi, priva di contesto, ma intrisa di un'urgenza che trapassava il codice. "Vieni tra le quindici e le diciotto," disse la voce, asciutta e concisa, come una direttiva militare. Poi, un breve silenzio, e la frase che fece sgranare gli occhi a Vittorio, una comprensione che si trasformò in una morsa gelida allo stomaco: "Prima passa a prendere Valentina."
Il sole del pomeriggio si stiracchiava pigramente sulle vette degli Appennini quando Vittorio, con la collana del clown nascosta sotto la camicia e il peso delle coordinate GPS inciso nella memoria, si mosse per le vie di Firenze. Il prelievo di Valentina fu un'operazione quasi militare: un punto d'incontro anonimo vicino alla Cittadella Universitaria, un saluto rapido, sguardi che si incrociavano con una gravità insolita. Il loro viaggio verso il Valdarno si trasformò in un'odissea clandestina, un balletto di navette autonome cambiate con precisione chirurgica in tre punti diversi, lontano dagli hub principali, con pagamenti effettuati tramite circuiti non tracciabili, un fantasma digitale che si dissolveva nell'etere. Ogni fermata, ogni transito, era accompagnato da uno sguardo furtivo allo specchietto, da una tensione che serrava la gola, la consapevolezza di essere ombre, fantasmi che si muovevano tra la luce accecante della sorveglianza statale. La città, con i suoi ologrammi danzanti e il ronzio delle tecnologie, si fece via via più rada, lasciando il posto a colline sinuose, distese di ulivi secolari e il profumo terroso della campagna toscana, un paesaggio che sembrava appartenere a un'epoca remota, un rifugio perfetto per un segreto cosmico.
Ad Eloisa aveva spiegato tutto. Sarebbe stato via per alcuni giorni. Lei avrebbe dovuto garantirgli un'adeguata copertura.
Alle sedici e trenta precise, la navetta autonoma, quasi mimetica nel suo grigio opaco, si arrestò con un sibilo discreto lungo una stradina sterrata nascosta da un folto bosco di lecci. La vecchia casa colonica della zia di Luca, con le sue mura in pietra ingiallite dal tempo e il tetto di tegole scure, apparve come un'apparizione, una sentinella silenziosa persa tra i campi dismessi. Era vecchia, certo, ma il suo aspetto era dignitoso, quasi fiero nella sua solitudine. Luca li attendeva sulla soglia, la sua figura paffuta che contrastava con la serietà quasi grave del suo volto, gli occhiali spessi che riflettevano la luce filtrata del pomeriggio. Senza bisogno di parole, li condusse all'interno, oltre un piccolo corridoio. In fondo, una piccola porta di legno scuro, quasi invisibile nella penombra, si apriva su una rampa di scale che scendevano nell'oscurità fresca e silenziosa di una cantina. Il loro santuario, il cuore della loro contro-indagine, li attendeva lì, sotto terra, pronto a svelare i segreti di un tempo che minacciava di riscrivere la storia.
L'aria umida e terrosa li avvolse mentre scendevano i gradini di pietra, il profumo persistente di muffa e legno antico si mescolava al fruscio discreto delle apparecchiature già predisposte. Il buio della cantina, un tempo regno di botti polverose e ragnatele silenziose, fu squarciato da un bagliore freddo e concentrato: Luca, con una lungimiranza quasi geniale, aveva trasformato quel luogo dimenticato in un cuore pulsante di tecnologia clandestina. Monitor curvi proiettavano diagrammi ancora dormienti, torri di server portatili ronzavano sommessamente dietro pannelli isolanti, e cavi ottici, sottili come fili d'ombra, si snodavano con precisione su superfici da lavoro provvisorie ma impeccabili. All'esterno, la navetta che aveva condotto Vittorio e Valentina, quasi mimetica nel grigio del crepuscolo che si addensava sugli ulivi, si era già allontanata, tagliando ogni ponte con il mondo esterno e lasciandoli soli, inghiottiti da un silenzio antico e impenetrabile. Vittorio strinse lo zainetto che portava in spalla, il peso del drive criptato che conteneva tutti i dati del varco e le conclusioni dei suoi calcoli, una reliquia di inimmaginabile potere e pericolo. Accanto a lui, Valentina teneva stretto un contenitore ermetico con strumenti di diagnostica quantistica miniaturizzati e sensori ultra-precisi, la sua espressione concentrata che rifletteva la gravità dell'impresa.
Sacchi di provviste auto-riscaldanti, contenitori di acqua purificata e batterie a lunga durata, accatastati in un angolo, erano il segno tangibile di una permanenza forzata, un auto-esilio per il bene superiore. Era un rifugio, una fortezza d'ombra, dove le antiche mura di pietra avrebbero custodito non solo i segreti millenari del Valdarno, ma anche l'abisso temporale che minacciava di riscrivere la storia di Firenze. Qui, sotto la superficie placida della terra toscana, avrebbero sfidato le leggi della fisica, le minacce degli agenti governativi e la propria stessa sanità mentale, cercando di decifrare i sussurri del tempo e di domare una forza che, senza il loro controllo, avrebbe potuto strappare la loro realtà in mille frammenti. Il conto alla rovescia, scandito non più da De Santis ma dall'ignoto, era appena iniziato.
(Continua nei prossimi post tutti i lunedì)
Nessun commento:
Posta un commento