lunedì 11 agosto 2025

Il varco di Firenze - Puntata 11

La mattina successiva, l'aria fresca e vibrante del Parco delle Cascine accoglieva i tre scienziati, un inatteso rifugio di silenzio verde nel cuore pulsante di Firenze 2050. Tra gli alberi secolari rinforzati con bio-materiali e i sentieri punteggiati da panchine olografiche e monitor floreali che diffondevano informazioni sull'ecosistema. Vittorio, con le occhiaie scavate e un peso nuovo negli occhi, camminava a passo lento, il respiro profondo nel tentativo di schiarire la mente. Luca, al suo fianco, era insolitamente silenzioso, il suo viso paffuto non più buffo ma solcato da una serietà che i suoi occhiali spessi amplificavano, mentre Valentina, con i suoi capelli ricci scuri che incorniciavano un volto concentrato, li seguiva con un passo deciso, la mente già proiettata sulle implicazioni. Il sole, filtrando tra le foglie, disegnava macchie luminose sull'erba curata, ma per loro il mondo era un luogo improvvisamente capovolto. Il verdetto dell'IA, quel suo linguaggio conciso e spietato, risuonava nella mente di tutti: non un varco tra universi paralleli, ma una distorsione temporale, una piega nella cronologia stessa, un'anomalia che poteva rispedirli indietro o proiettarli in un futuro impensabile. La paura si era trasformata, ma non sminuita; anzi, aveva assunto contorni ancora più agghiaccianti, il terrore di non alterare un'altra Firenze, ma la loro Firenze, il loro tempo. Ogni foglia che cadeva, ogni ronzio di navetta lontana, sembravano vibrare con le implicazioni di quell'incubo scientifico.

Si fermarono sotto un antico platano, la sua chioma folta che offriva un'ombra densa, quasi a nascondere la gravità della loro conversazione dal mondo circostante. Vittorio si voltò verso i suoi colleghi, lo sguardo fermo. "Dobbiamo tornare là," disse, la voce bassa e decisa, riferendosi al sito sotto il Duomo. "Non possiamo attendere l'output finale dell'IA o sperare in una spiegazione dettagliata. Il tempo di De Santis stringe, e questa è la nostra unica possibilità di presentare qualcosa di concreto." Luca annuì, aggiustandosi gli occhiali. "Ma come, professore? Non possiamo chiedere un accesso speciale per un esperimento sulla distorsione temporale verremmo internati." Valentina assentì, la sua espressione grave. "Dovremo farlo... nell'ombra. Usare i nostri badge, i nostri protocolli di accesso abituali, e lavorare quando il sito è meno sorvegliato, magari di notte." Vittorio concordò, l'idea di una violazione dei protocolli che, in altre circostanze, lo avrebbe fatto rabbrividire, ora sembrava l'unica strada percorribile. "Esatto. Dobbiamo tornare al punto di risonanza e validare ciò che l'IA ha suggerito. Dobbiamo rilevare le coordinate quantiche di questa anomalia temporale con una precisione chirurgica, cercando non più le 'firme' di universi diversi, ma quelle di istanti temporali divergenti." I suoi occhi verdi si accesero di una luce febbrile. "E soprattutto, dobbiamo comprendere il principio esatto di questa risonanza: come fa la Cupola a interagire con una piega del tempo? È la sua geometria? I materiali? Un allineamento tellurico sconosciuto che la rende un catalizzatore involontario per il flusso temporale? Se riusciamo a identificare questo 'perché', avremo la chiave non solo per spiegare il fenomeno, ma forse per controllarlo, per richiudere quel varco o almeno stabilizzarlo." La missione era chiara, l'obiettivo monumentale e terrificante. Era un'impresa che avrebbe potuto riscrivere la storia, o distruggerla. E loro tre erano gli unici a conoscerne la portata, pronti a sondare l'abisso del tempo celato sotto il cuore millenario di Firenze.

Il silenzio carico di teorica vertigine che avvolgeva Vittorio, Luca e Valentina sotto la chioma antica del platano venne bruscamente squarciato da una vibrazione discreta ma insistente. Lo smartphone di Vittorio, incastonato nel tessuto della sua giacca, emise un debole ronzio, un richiamo prosaico che lo strappò con violenza dalle pieghe temporali e dalle cospirazioni scientifiche. Il suo volto, già scavato dalla stanchezza, si contrasse in un'espressione di fastidio per l'interruzione, ma un'occhiata all'identificativo sul display lo fece irrigidire: era Eloisa. "Pronto?" rispose, la voce tesa, un filo di impazienza mescolato all'inquietudine. La voce di sua moglie, attraverso il microfono direzionale, suonò insolitamente affannata, quasi un sussurro carico di ansia. "Vittorio, dove sei? Sono... sono venute due persone. Qui a casa," disse Eloisa, e il suo tono suggeriva una richiesta pressante di spiegazioni. "Chi? Due persone? Chi sono?" chiese Vittorio, il sangue che gli si ghiacciava nelle vene, i suoi occhi verdi che si posavano involontariamente su Luca e Valentina, tradendo il terrore che iniziava a serpeggiargli dentro. Era De Santis? O qualcosa di molto, molto peggio? "Non lo so," rispose Eloisa, la sua voce che si spezzava leggermente. "Hanno detto che ti cercano, che... è una questione urgente, legata al tuo lavoro all'Università. Hanno un fare... molto formale. E non vogliono andare via. Sono qui, in salotto. Ti stanno aspettando." La notizia calò su Vittorio come un macigno, ogni parola di Eloisa un colpo sordo che spegneva la flebile luce di speranza accesa dall'IA e dal nuovo piano. Il suo sguardo si fece duro, gli occhi ora pieni di un'allerta gelida.

Vittorio chiuse la comunicazione con un gesto brusco, il ronzio del telefono che sembrava l'eco di una porta che si chiudeva sul loro fragile barlume di normalità. Il suo respiro si fece più profondo, quasi un rantolo, mentre il peso dell'ignoto si materializzava in quella che sentiva come una minaccia imminente. Non c'era bisogno di scambiarsi parole; Luca e Valentina, osservando il rapido mutare dell'espressione del professore, avevano colto l'urgenza e la gravità della situazione. I loro volti, fino a un attimo prima concentrati sulla fisica quantistica e le implicazioni temporali, si erano trasformati, le loro menti che lavoravano freneticamente per assimilare il nuovo, inatteso sviluppo. Era la reazione di De Santis, forse, che aveva agito con una rapidità inaspettata? O era qualcosa di ben più sinistro, la "coscienza collettiva" che Vittorio aveva percepito, che ora si manifestava con agenti umani? Il parco, fino a quel momento un'oasi di quiete, sembrava ora respirare con un'inquietudine latente, ogni ombra un potenziale osservatore, ogni fruscio di foglie un passo furtivo. "Devo andare," mormorò Vittorio, la voce che suonava a malapena riconoscibile, la stanchezza fisica spazzata via da un'ondata di adrenalina e terrore. "Ora." Il destino del varco temporale, della loro ricerca, e forse della loro stessa libertà, era stato bruscamente interrotto, dirottato verso il salotto del suo appartamento, dove due figure sconosciute attendevano nell'ombra, pronte a svelare il prossimo, terrificante capitolo della loro storia.

Il volto di Vittorio, già tirato dalla stanchezza e dalla vertiginosa rivelazione dell'IA, si fece livido. Le parole di Eloisa rimbombavano nella sua mente: "Due persone. Qui a casa." Non un'eco, ma una sirena assordante che squarciava la quiete apparente. Luca e Valentina si avvicinarono, percependo l'urgenza silente che emanava da lui, un'ombra fredda che si diffondeva nell'aria. "Professore, veniamo con lei," propose Luca, la sua voce incerta ma ferma, gli occhi spessi che brillavano di lealtà sotto gli occhiali. Valentina annuì, la sua espressione seria e decisa. "Siamo con lei. Qualunque cosa stia succedendo, non la affronta da solo." Ma Vittorio scosse la testa con forza, un gesto repentino che non ammetteva repliche, la sua mano che stringeva il braccio di Luca quasi con dolore. "No," tagliò corto, la voce roca e tesa. "Voi no. Ascoltatemi bene: Luca, devi tornare subito al tuo appartamento. Metti in sicurezza tutti i dati. Il drive criptato. E il modello dell'IA. Tutto. Cancella ogni traccia che possa ricondurre a noi, ad ogni costo, se necessario. Valentina, aiutalo. Siete gli unici a conoscere la vera natura della nostra scoperta. È vitale che la proteggiate. Non potete venire con me, non ora. Se queste persone sanno qualcosa, non voglio che coinvolgano anche voi. È fondamentale che rimaniate fuori da questo. Dovete essere pronti a continuare, se dovesse succedere qualcosa a me." I loro sguardi si incrociarono per un istante, carichi di una comprensione amara e di una responsabilità improvvisa e schiacciante. Non c'era spazio per obiezioni o per un addio formale. L'addio fu rapido, un tacito patto di resistenza, il peso del segreto che ora si divideva tra il terrore di Vittorio e la responsabilità di Luca e Valentina, un fardello cosmico affidato a due giovani menti.

Lasciò Luca e Valentina nel parco, l'immagine dei loro volti preoccupati che svaniva rapidamente mentre balzava in una navetta autonoma. Il viaggio verso Coverciano, di solito un percorso sereno punteggiato da ologrammi pubblicitari danzanti e dal mormorio distratto della città che si risvegliava, si trasformò in una corsa febbrile contro un nemico invisibile, il cuore che gli martellava nel petto, ogni ronzio del veicolo un colpo di tamburo che anticipava la resa dei conti. Quando la navetta si fermò con un sibilo sommesso davanti al suo palazzo, l'aria gli sembrò improvvisamente più fredda, l'ombra del palazzo più scura, come se il mondo si stesse preparando a inghiottirlo. Varco la soglia dell'attico, il profumo familiare di casa, di calma, di quella normalità così disperatamente ricercata, che contrastava violentemente con la tensione che gli stringeva la gola. In salotto, Eloisa lo aspettava, il suo viso pallido e gli occhi marroni spalancati dalla paura. E accanto a lei, due figure. Due uomini. Eleganti, nei loro abiti scuri dal taglio impeccabile, privi di ogni abbellimento tecnologico evidente, quasi anacronistici nella Firenze del 2050. Il loro aspetto era quello di statue immobili, le mani congiunte in una posa di formale attesa, lo sguardo freddo e penetrante che non ammetteva repliche, che sembrava trafiggere ogni tentativo di difesa. L'aria attorno a loro sembrava più densa, più pesante, quasi risucchiata dalla loro presenza imponente. Uno dei due, un uomo alto con una mascella scolpita e occhi di ghiaccio che non si staccarono da Vittorio neanche per un istante, fece un passo avanti, un movimento calcolato che lo immobilizzò. La sua voce era bassa, priva di inflessioni, ma intrisa di un'autorità inequivocabile che risuonava nel silenzio ovattato dell'attico. "Professor Bardi," iniziò, e il tono non era una domanda, ma una constatazione, una sentenza. "Sono l'Agente Morandi. Questo è il mio collega, l'Agente Costa. Siamo qui per conto di un'agenzia governativa che si occupa di sicurezza nazionale. La preghiamo di seguirci. Ci sono alcune questioni urgenti e riservate che richiedono la sua immediata attenzione. Non è un invito." La sua mano si posò, con un gesto secco e risoluto, su un badge invisibile all'interno della giacca, un cenno che non lasciava spazio a dubbi, che annullava ogni possibile resistenza. Il cerchio si era chiuso. Vittorio sentì il peso del mondo e di tutti gli universi su di sé, un prigioniero delle sue stesse scoperte, mentre lo sguardo terrorizzato di Eloisa era l'ultimo, straziante ricordo di una normalità perduta per sempre.

(Continua nei prossimi post)

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