lunedì 25 agosto 2025

Il varco di Firenze - Puntata 14

La mattina seguente, nonostante la breve e tormentata notte, Vittorio si ritrovò di nuovo in piedi, il peso del segreto che gli gravava sulle spalle reso ancora più opprimente dalla necessità di tessere un'altra tela di menzogne. L'aria nell'attico era cristallina, inondata dalla luce chiara che filtrava dalle grandi finestre, e il silenzio quasi perfetto dell'ambiente tecnologico lo strinse in una morsa. Doveva contattare Luca e Valentina, rassicurarli, dare loro una spiegazione plausibile  e controllata per l'assenza improvvisa e la sua interruzione di ogni contatto. Prese il suo comunicatore, le dita che esitavano un istante prima di selezionare il contatto di Luca, poi quello di Valentina, un'unica chiamata di gruppo per affrontare la questione.

La voce di Luca, un po' impastata dal sonno ma con una punta di ansia, e quella più acuta e attenta di Valentina, risposero quasi simultaneamente. Vittorio si schiarì la voce, cercando di infondere nel suo tono una normalità che non provava. "Ragazzi, buongiorno," esordì, sforzandosi di suonare professionale. "Immagino vi stiate chiedendo della mia assenza improvvisa e del silenzio di queste ore. Volevo mettervi al corrente: le due persone che sono venute a casa mia ieri. Erano due ricercatori di un dipartimento di Milano, interessati a collaborare sui nostri dati preliminari, quelli sulle 'anomalie'. Volevano discutere alcune delle nostre ipotesi sulla risonanza quantistica e condividere alcune loro osservazioni, diciamo così." Fece una pausa, il silenzio dall'altra parte del canale di comunicazione un misto di sollievo e perplessità. "Purtroppo," continuò, la sua voce che si abbassava appena, "non posso darvi ulteriori dettagli per il momento. Mi è stato... caldamente consigliato di mantenere il riserbo più assoluto sulla natura e la portata di questa collaborazione. Capite. Si tratta di dinamiche che esulano dalla nostra normale prassi universitaria." Diede istruzioni chiare e concitate: "Dobbiamo comportarci come se nulla fosse accaduto, e continuare il nostro lavoro sul progetto come previsto con De Santis. Per ora, è l'unica cosa che posso dirvi. Mi dispiace." La menzogna, intessuta con abilità, si era riversata nel loro mondo, una cortina di fumo che, sperava, avrebbe celato la terrificante verità.

Il suono della sua stessa voce al telefono, mentre inventava una scusa elaborata per giustificare la sua assenza all'Università – un'improvvisa collaborazione inter-dipartimentale con "ricercatori milanesi" sulle "anomalie" – gli sembrava quasi alieno, una menzogna così perfettamente tessuta da suonare credibile persino alle sue stesse orecchie. Riagganciò, lasciando che il comunicatore scivolasse sulla superficie fredda del tavolo. L'impulso di chiudere fuori il mondo, di rintanarsi, era diventato un bisogno fisico, quasi quanto l'ossigeno. Aveva bisogno di un rifugio, di un luogo dove l'aria non fosse satura di sguardi invisibili e minacce sussurrate. Il suo studio, all'interno di quell'attico a Coverciano, fu la sua scelta. Era un microcosmo di silicio e luce, uno spazio dove schermi curvi proiettavano costellazioni di dati e sensori ambientali modulavano l'aria a una temperatura perfetta. Di solito, era il suo santuario della scoperta, il luogo dove la sua mente volava libera tra equazioni e teorie. Ora, con le pareti che riflettevano un bagliore freddo e le ologramme sospese nell'aria a testimoniare progetti incompiuti, si sentiva come in una prigione dorata, assediato dal silenzio che amplificava il tumulto nella sua testa. Si lasciò cadere sulla sua poltrona ergonomica, lo sguardo fisso sugli schemi astratti che danzavano sui monitor, cercando invano di svuotare la mente dal peso schiacciante dei segreti che lo attanagliavano.

Le ore che seguirono furono un labirinto di tormento interiore. La menzogna a Luca e Valentina, necessaria per proteggerli, gli bruciava ancora sulla lingua, un veleno auto-somministrato per il bene superiore. Ma era solo una delle tante scaglie di quella nuova realtà che gli si era svelata: non solo il varco, la distorsione temporale suggerita dall'IA di Luca, un orrore cosmico ben più destabilizzante di qualsiasi universo parallelo, ma anche la presenza onnipresente e gelida di quegli agenti, ombre silenziose che si muovevano nel cuore dello Stato, capaci di annullare la sua vita con un semplice gesto. Poi c'era Giulio, il suo pianto, la sua vulnerabilità, costretto a rinnegare la propria percezione della verità per una fittizia normalità, un bambino intrappolato nel dramma di suo padre. E Eloisa, la sua forza, la sua paura, il suo amore che non bastava a contenere un'onda di caos che minacciava di travolgerli tutti. Il Duomo, simbolo di Firenze, non era più solo un monumento, ma il centro di un incubo metafisico, un orologio che ticchettava non verso un futuro, ma verso un passato instabile, un richiamo costante al potere che aveva involontariamente risvegliato. La scelta, crudele e ineludibile, gli si presentava chiara come il cristallo: continuare a sondare quel varco, a inseguire la più grande scoperta della storia, rischiando di lacerare la cronologia stessa e di esporre la sua famiglia a un pericolo inimmaginabile? O chiudere per sempre quella porta, sacrificando ogni ambizione scientifica per la promessa fragile di una pace perduta, sapendo che gli agenti non avrebbero mai smesso di monitorare, di cercare, di avvicinarsi sempre più al segreto che lui avrebbe seppellito? Ogni ronzio dei server remoti di Luca, ogni riflesso di luce sui pannelli dello studio, sembrava sussurrargli la stessa, terribile domanda, senza offrirgli risposta.

La mattina seguente, l'attico a Coverciano era intriso di una luce così tersa da sembrare quasi innaturale, filtrata dalle ampie finestre che incorniciavano un frammento perfetto di Firenze 2050. Fuori, le navette elettriche scivolavano silenziose sulle strade. Nonostante le poche ore di sonno rubate a una notte tormentata, il fisico cercava di riafferrare i fili di una quotidianità che gli scivolava tra le dita. Mentre preparava i materiali per la sua lezione del primo pomeriggio all'Università, i suoi pensieri erano un turbine inarrestabile: la menzogna tessuta per Luca e Valentina, le lacrime silenziose di Eloisa, il peso delle parole sussurrate a Giulio, ora costretto a rinnegare la propria percezione della realtà per una sicurezza fittizia. E poi, onnipresente e gelido, il ricordo degli occhi di ghiaccio dell'agente Morandi e della sua sentenza inappellabile, la minaccia di un controllo statale che faceva apparire il varco temporale quasi un problema secondario. Ogni passo nel suo studio, ogni sguardo agli schermi curvi che un tempo erano la sua finestra sul cosmo, ora gli appariva come un'ulteriore conferma della prigione silenziosa in cui si era rinchiuso.

Era quasi mezzogiorno, e Vittorio stava rivedendo gli ultimi schemi olografici della sua lezione, cercando di concentrarsi sui principi della meccanica quantistica come se la realtà intorno a lui non stesse precipitando in un abisso di assurdità. La mente, però, continuava a vagare, tormentata dalla scelta ineludibile: salvare la sua scoperta e la possibilità di riscrivere la fisica, o proteggere la sua famiglia e il loro fragile equilibrio. Fu in quel momento di stanca rassegnazione che il suo comunicatore, posato sulla scrivania, vibrò con un ronzio discreto ma perentorio. Uno sguardo al display gli fece gelare il sangue nelle vene. Renato De Santis. Il direttore del Dipartimento, colui che lo aveva messo alle strette, l'uomo che, inconsapevolmente, rappresentava il primo domino di una catena di eventi che lo aveva condotto fin lì. Erano le dieci del mattino, ben prima di qualsiasi impegno ufficiale che giustificasse una chiamata diretta. Un senso di terrore si mescolò alla stanchezza, un'ondata fredda che lo avvolse. Cosa poteva volere Renato con tanta urgenza? Era l'IA di Luca che aveva già rivelato qualcosa? Gli agenti avevano in qualche modo forzato la mano, arrivando fino al Direttore? Il suono della sua voce, al momento di rispondere, era appena un sussurro.

(Continua nei prossimi post)

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