Vittorio si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona di fronte a lei, senza neanche togliersi la giacca leggera che indossava. Le sue mani tremavano leggermente mentre si toglieva gli occhiali e li strofinava con un gesto nervoso. I suoi occhi verdi, solitamente attenti e vivaci, apparivano spenti e affaticati.
"Com'è andata la riunione?" chiese Eloisa, la sua voce bassa, cauta. Aveva visto la sua espressione appena entrato e sapeva che la risposta non sarebbe stata buona.
Vittorio scosse lentamente la testa, il respiro che gli usciva come un sospiro affannoso. "Non bene," mormorò, la voce rauca. "Ho parlato con De Santis dopo. In privato."
Eloisa si sporse in avanti, il suo cuore che stringeva per l'apprensione. "Cosa ti ha detto?"
Lui la guardò, e per la prima volta in settimane, vide non solo preoccupazione nei suoi occhi, ma anche la possibilità di una comprensione. Il muro che aveva costruito mattone su mattone gli sembrava improvvisamente insostenibile, inutile. Era stanco di essere solo con il suo terrore.
"Il progetto è a rischio," disse Vittorio, le parole che uscivano a fatica. "I fondi sono quasi esauriti. Non ho... non ho presentato risultati che considerino 'applicabili'."
"Applicabili?" replicò Eloisa, confusa. "Ma non stavi cercando una nuova fonte energetica? Perché non è applicabile?"
Vittorio distolse lo sguardo, fissando un punto indefinito sul tappeto luminoso. "Perché quello che ho trovato non è una fonte di energia nel senso che intendono loro," rispose, la sua voce che si abbassava ancora, quasi un sussurro. "Non genera kilowatt. Genera... qualcos'altro." Prese un respiro profondo, cercando le parole. Era il momento. Il segreto che lo divorava da dentro.
"Renato mi ha dato due settimane," continuò, gli occhi di nuovo su di lei, ora carichi di una paura che non aveva mai osato mostrarle. "Due settimane per 'dimostrare la validità della ricerca', o la sospenderanno. E sai cosa significa. Significa che tutto finisce. Che... lascerò le cose come stanno."
Eloisa attendeva, sentendo che il vero peso delle sue parole doveva ancora arrivare. "Lasciare cosa, Vittorio?" chiese, la sua voce appena udibile.
Vittorio si passò una mano sulla barbetta, un gesto reso nervoso dalla tensione. "Eloisa," iniziò, e il suo tono era quello di qualcuno che sta per confessare qualcosa di inimmaginabile. "Ciò che ho trovato sotto la Cupola... non è una semplice anomalia energetica. È un punto di risonanza. Una frequenza altissima, sottile, che... che assottiglia il velo."
Gli occhi di Eloisa si spalancarono leggermente. "Il velo?"
"Sì," affermò lui, annuendo lentamente, come se cercasse di convincere prima se stesso. "Immagina il nostro universo non come l'unica realtà, ma come uno strato tra molti altri. Come fogli di carta sovrapposti. Di solito, sono separati, densi, impenetrabili. Ma in quel punto preciso, sotto il Duomo, qualcosa... la sua geometria, forse, o chissà cos'altro... agisce come un diapason. Entra in risonanza con quelle frequenze sottili che mantengono separati gli strati."
Si appoggiò allo schienale, esausto. "Il punto sotto la Cupola non è un vuoto energetico. È un luogo dove le barriere tra le dimensioni diventano... permeabili. È una soglia. Un varco."
Un silenzio sbalordito calò nella stanza. Le luci futuristiche sembravano improvvisamente estranee, la tranquillità domestica una maschera fragile. Eloisa lo fissava, il viso pallido, cercando di elaborare quelle parole.
"Un varco?" ripeté, la voce flebile. "Intendi... verso altri mondi? Altre dimensioni?"
Vittorio annuì di nuovo. "Esattamente. I sensori non rilevano energia. Rilevano... firme quantistiche che non appartengono al nostro spazio-tempo. E non è stabile, Eloisa. Non è una porta fissa. È un punto instabile, vibrante, riattivato dalla mia indagine. È come se avessi bussato a una porta che era chiusa da secoli."
L'inquietudine negli occhi di Eloisa si trasformò in puro terrore. "E... e cosa c'è dall'altra parte?" mormorò.
Vittorio scosse la testa. "Non lo so. I dati sono frammentati. Suggeriscono... non so, forse configurazioni diverse della realtà, universi coesistenti... ma non so cosa significhi in termini concreti. Potrebbe essere vuoto, o... o abitato. O semplicemente... diverso in un modo che non possiamo nemmeno immaginare."
"E De Santis vuole che tu trovi risultati 'applicabili' su questo?" chiese Eloisa, l'assurdità della situazione che si mescolava alla paura.
"Lui non sa questo," rispose Vittorio, la sua voce che tornava a tremare. "Gli ho parlato di 'risonanza non contemplata', di 'interazioni a livello fondamentale'. Ho dovuto nascondere la verità. Come potevo dirgli che ho scoperto una porta dimensionale sotto il simbolo di Firenze?"
Eloisa si alzò lentamente, le mani che si strinsero ai fianchi. Il filosofo in lei poteva forse concepire l'idea di dimensioni parallele, ma il pensiero di un varco fisico sotto il Duomo, instabile e riattivato, era orribile.
"E se non la ricchiudi in due settimane?" domandò, la sua voce ora ferma nonostante il terrore. "O se non la capisci?"
Vittorio la guardò, i suoi occhi che riflettevano tutta la sua disperazione e la sua paura. "Non lo so, Eloisa," confessò. "Non so se posso 'chiuderla'. E non so cosa potrebbe succedere se... se si aprisse del tutto. O se qualcun altro la trovasse."
Si sentiva svuotato, il peso del segreto finalmente condiviso, ma sostituito dal peso condiviso di un pericolo inimmaginabile. Eloisa si avvicinò a lui, il suo volto ancora pallido, ma nei suoi occhi marroni c'era una nuova determinazione. Si sedette accanto a lui sulla poltrona e gli prese le mani.
"Allora non abbiamo due settimane per trovare 'risultati applicabili'," disse, la sua voce seria. "Abbiamo due settimane per capire cosa hai trovato. E cosa farne."
Vittorio la guardò, sorpreso dalla sua reazione. Non era solo spaventata. Era pronta ad affrontare la cosa con lui. Per la prima volta da quando aveva fatto quella scoperta, non si sentiva completamente solo nell'abisso.
"Sì," disse, annuendo, stringendole le mani. "Sì, abbiamo due settimane."
Il silenzio che tornò tra loro non era più vuoto e pesante, ma carico di una nuova, terrificante consapevolezza condivisa. Fuori, le luci di Firenze 2050 brillavano ignare del segreto millenario e cosmico che si agitava sotto il suo cuore antico, un segreto che ora non era più solo di Vittorio.
Un silenzio gravido di nuove, terribili implicazioni avvolse la stanza. La confessione di Vittorio aveva squarciato il velo della normalità, rivelando un abisso cosmico che si nascondeva sotto il loro mondo. Eloisa, con la mente che correva veloce cercando di afferrare le vertigini di quel concetto – un varco, dimensioni parallele, sotto la Cupola – pose la domanda più immediata e pressante, quella che toccava la realtà quotidiana del marito, il suo lavoro, i suoi colleghi. "E... e il tuo gruppo di ricerca?" chiese, la voce ancora un po' tremante ma ora intessuta di una preoccupazione pratica. "Gli altri che lavorano con te su questo progetto si sono accorti di qualcosa? Di questa risonanza, di queste... firme non nostre?" Aveva bisogno di sapere quanto fosse isolato nel suo segreto, quanto fosse diffuso il potenziale pericolo di questa scoperta.
Vittorio scosse la testa lentamente, un gesto che era metà negazione e metà rassegnazione. "No, non questo," rispose, marcando la parola con enfasi. "Hanno visto i dati, certo. Hanno visto le anomalie, i picchi di risonanza che non rientrano nei modelli teorici sul vuoto energetico. Li abbiamo discussi in riunione... li ho presentati come 'fenomeni singolari', 'interazioni a livello fondamentale'." Prese un altro respiro profondo, il peso della menzogna che sentiva ancora sulla lingua. "Ma le interpretazioni più strane, quelle che suggerivano la permeabilità dimensionale, i miei sospetti sul varco... quelle le ho tenute per me. Ho passato ore, notti intere, ad analizzare quei dati da solo, a cercare conferme che non potevo, non osavo, condividere. Per loro è solo un'anomalia inspiegabile in un esperimento sull'energia. Fastidiosa, certo, perché non porta ai risultati attesi, ma niente che suggerisca... questo." Indicò vagamente il soffitto, come se il varco fosse lì sopra di loro, non sotto il Duomo. "Sono l'unico ad aver guardato così a fondo, a collegare i punti in questo modo assurdo... e terrorizzante." La sua solitudine nel confrontarsi con quella verità cosmica era stata schiacciante; ora che l'aveva condivisa con lei, il peso sembrava alleggerirsi appena, ma la consapevolezza del rischio che aveva corso, e che continuava a correre nascondendo la verità, rimaneva intatta.
Eloisa lo osservò, gli occhi marroni ancora carichi di shock ma con una curiosità innata che affiorava. Cercava di visualizzare ciò che lui descriveva, qualcosa di così estraneo alla sua comprensione del mondo fisico. "Ma questo varco... è visibile?" chiese con cautela, come se temesse la risposta. "Ha una consistenza? È... è come un buco nell'aria, o un muro invisibile?" Il suo tentativo di dare forma a quell'astrazione quantistica rivelava quanto fosse difficile per la mente razionale afferrare il concetto.
Vittorio negò con un lento movimento del capo, gli occhi fissi su un punto lontano, come se vedesse il varco nella sua mente. "No, no," mormorò, la voce ora più quieta, intrisa della rassegnazione di chi ha visto l'invisibile. "Non è nulla di tangibile nel modo in cui pensiamo. Non c'è nulla da vedere a occhio nudo lì sotto, nulla da toccare. Non è un portale che si apre come in un film, con luci e fumo." Si passò una mano sulla barbetta brizzolata, un gesto che non nascondeva la tensione. "È un punto nello spazio, un'anomalia quantistica, un luogo dove la 'densità' della nostra realtà si riduce, dove il velo tra le dimensioni si assottiglia al punto di diventare permeabile. Pensa a un diapason che vibra a una frequenza così alta che fa risuonare le pareti di vetro più sottili... il varco è quella vibrazione, non il buco nel vetro. Lo rileviamo con strumenti ultrasensibili, attraverso le alterazioni nel campo quantistico, nelle firme energetiche che non appartengono al nostro spazio-tempo. È un fenomeno, Eloisa. Un fenomeno che accade, che è lì, ma che esiste su un piano così sottile e fondamentale da sfuggire alla nostra percezione diretta. Eppure... eppure è reale. E la sua realtà si fa sentire, non solo nei dati, ma... in un modo che inizio a percepire anch'io. Come un'eco lontana, un richiamo."
Eloisa ascoltava, il suo viso contratto dalla tensione, l'eco di quelle parole che le risuonava nella mente: un diapason che vibrava, un velo che si assottigliava. Non era solo la vastità cosmica della scoperta a turbarla, ma l'inquietante passività di quel "fenomeno che accade". Era lì, invisibile, inafferrabile, eppure potentemente reale, una minaccia silenziosa sotto il cuore di pietra di Firenze. I suoi occhi marroni indugiarono sul volto stanco e teso di Vittorio, riconoscendo il peso insostenibile che aveva portato da solo per settimane. La paura per la sua sicurezza si mescolava all'angoscia per quella realtà alternativa, per i mondi che, a sua insaputa, si agitavano a un passo dal loro. Una leggera vertigine la colse al pensiero della Cupola, non più solo un simbolo rinascimentale, ma il centro nevralgia di un potenziale cataclisma dimensionale.
Vittorio, esausto dalla confessione e dalla tensione accumulata, si distese ancora più pesantemente sulla poltrona. Le mani gli tremavano leggermente e un dolore sordo gli pulsava nelle tempie. Aveva rovesciato su Eloisa l'enormità del suo segreto, e se da un lato c'era il minuscolo sollievo di non essere più solo, dall'altro c'era l'opprimente consapevolezza di averla trascinata con sé nell'abisso. Sentiva il richiamo del sonno come un'onda pesante, l'unico vero rifugio dalla morsa dell'ansia. Con un sospiro che sembrava prosciugargli le ultime energie, si alzò con fatica. "Sono... sono a pezzi, Eloisa," mormorò, la voce impastata dalla stanchezza. "Devo... devo riposare." Non era una domanda, ma una constatazione, un bisogno primordiale che sovrastava per un attimo la paura cosmica. Eloisa lo guardò con compassione, il suo sguardo un misto di terrore appena sussurato e un affetto profondo. Si alzò anche lei, avvicinandosi a lui, e gli posò una mano sul braccio, un contatto silenzioso e rassicurante. "Va'," gli disse dolcemente, la sua voce incrinata ma ferma. "Vai a riposare. Domani... domani vedremo." Vittorio annuì, incapace di dire altro, e si incamminò lentamente verso la camera da letto, lasciandosi alle spalle il soggiorno illuminato, la moglie preoccupata e l'ombra invisibile di un varco dimensionale che fremeva sotto la Cupola, pronto a cambiare il volto della notte e, forse, quello del loro mondo.
(Continua nei prossimi post)
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