Vittorio si mosse con un'energia febbrile che contrastava con la stanchezza che gli scavava le occhiaie; la mente era un turbine incessante, ma la volontà di agire, di affrontare il nemico invisibile che ora lo braccava anche nel cuore dello Stato, prevaleva su ogni altro pensiero. Il comunicatore, con il suo ronzio impercettibile, era un filo teso tra lui e l'ultima, disperata speranza. Vestitosi con abiti semplici e privi di ornamenti tecnologici che avrebbero potuto attirare sguardi, lasciò l'appartamento, scivolando in una navetta autonoma che lo avrebbe condotto al di fuori della frenesia urbana. Il viaggio verso San Casciano fu un progressivo abbandono del profilo futuristico di Firenze: i palazzi rinascimentali potenziati dalla nanotecnologia lasciavano il posto a casolari isolati tra i filari di vite, i ronzii delle navette si diradavano, sostituiti dal fruscio del vento tra gli olivi e l'odore della terra bagnata. Ogni chilometro che lo allontanava dalla Cupola e dalle sue minacce visibili, lo avvicinava a un'incertezza forse ancora più grande, ma anche alla promessa di una collaborazione disperata.
Quando la navetta lo depositò ai margini di una stradina sterrata, non lontano dal centro abitato di San Casciano, il paesaggio si era fatto più selvaggio, più intimo. Il boschetto, una macchia scura di lecci e querce secolari, offriva un rifugio di silenzio e ombra, il sole del primo pomeriggio che filtrava a fatica tra le fronde, disegnando macchie luminose sul tappeto di foglie secche. L'aria era fresca e satura del profumo di muschio e terra, un contrasto stridente con l'ozono dei laboratori e l'acre sentore di terrore che lo aveva accompagnato. Poco dopo, un'altra navetta, più modesta, si accostò, e da essa scesero Luca e Valentina, i loro sguardi seri che scrutarono il professore prima ancora di scambiare un saluto. Luca, seppur con il suo aspetto buffo, aveva una gravità insolita sul volto, mentre Valentina, i suoi ricci neri che le incorniciavano un'espressione concentrata, si avvicinò a passi decisi. “Grazie per essere venuti, ragazzi,” disse Vittorio, la voce rauca, percependo l'urgenza silente che emanava da loro. “Immagino abbiate compreso la situazione e, soprattutto, che siate a conoscenza del mio… allontanamento dall’incarico universitario.” Valentina annuì con un movimento secco, gli occhi scuri fissi su di lui con una lealtà che non ammetteva dubbi. “Professore,” rispose, la sua voce calma ma intrisa di determinazione, “appena la notizia ha iniziato a circolare, abbiamo capito. Sapevamo che non era un semplice problema di fondi o di ‘ricercatori milanesi’. Loro l’hanno colpita, vero? Con la loro ‘sicurezza nazionale’?” Il suo tono, così diretto, così privo di circonlocuzioni, sciolse l'ultima resistenza di Vittorio. Erano dentro, fino al collo, proprio come lui. Il segreto era condiviso, la posta in gioco chiara, e il boschetto, testimone silenzioso, li avvolgeva in un patto di resistenza contro un nemico invisibile.
Vittorio annuì lentamente, il suo sguardo che si induriva, la stanchezza che gli scavava gli occhi ora sferzata da una gelida determinazione. “Sì, Valentina,” rispose, la sua voce bassa ma priva di esitazione, una confessione necessaria e liberatoria. “Sono stati loro. Gli stessi che mi hanno interrogato. Hanno classificato tutto come ‘segreto di stato di massima urgenza’. Hanno detto che le implicazioni di ciò che ho scoperto minacciano la sicurezza nazionale e che ogni tentativo di divulgare informazioni avrebbe conseguenze ‘estremamente gravi’, non solo per me ma per chiunque fosse coinvolto. La mia rimozione dal progetto è solo l’inizio del loro controllo. Vogliono seppellire ciò che ho trovato, o forse, appropriarsene e usarlo per scopi che non possiamo nemmeno immaginare.” Si strinse le mani, ma non c'era tremore nel gesto. “Ma una cosa è chiara: non posso arrendermi. Non dopo aver visto la verità che si nasconde sotto il velo della realtà. Non per me, ma per Eloisa, per Giulio, per voi, per questa città che respira ignara su un abisso temporale. Il mio incarico è stato tolto, ma la mia ricerca non è finita. Dobbiamo andare avanti. Dobbiamo capire come funziona quella distorsione, come controllarla, come impedirle di lacerare il nostro tempo. Il problema è… come fare, senza poter più accedere al sito sotto il Duomo? Senza i sensori, senza la possibilità di interagire direttamente con il varco?”
Fu a quel punto che Luca, il suo solito aspetto buffo ora completamente eclissato da un'intensità quasi febbrile, fece un passo avanti. Si aggiustò gli occhiali spessi sul naso, e una scintilla di geniale audacia brillò nei suoi occhi. “Professore,” disse, la sua voce che acquisiva un tono inaspettatamente sicuro e ispirato, “niente è impossibile, neanche ora che il campo di gioco è cambiato. Abbiamo terabyte di dati, il frutto di mesi del suo lavoro e della nostra analisi preliminare. Non solo le firme quantistiche grezze, ma le loro fluttuazioni, i pattern di risonanza, le risposte alle nostre precedenti indagini. E abbiamo il mio modello di IA concettuale.” Indicò vagamente la direzione di Scandicci, dove l'intelligenza artificiale riposava in attesa. “Se non possiamo più andare al varco, possiamo ricrearlo. Con tutti i dati che abbiamo, con la potenza di calcolo adeguata e la capacità di ‘ragionamento’ avanzata dell’IA, siamo in grado di ricostruire con una precisione quasi chirurgica i modelli matematici e le strutture quantistiche che caratterizzano la risonanza della Cupola. Possiamo creare un ambiente virtuale, un modello 3D ad altissima fedeltà, capace di simulare non solo la Cupola, ma l’esatta risonanza del varco. Sarà una sorta di ‘laboratorio quantistico’ digitale, dove potremo interagire con la simulazione del fenomeno, testare ipotesi, cercare la ‘chiave’ di controllo… senza mai mettere piede in quel sito, senza esporci ulteriormente agli occhi dello Stato. Sarà più lento, più complesso, certo, ma è una via, l’unica che ci resta per sondare l’abisso del tempo senza distruggerci nel farlo.”
Vittorio ascoltava le parole di Luca, e in quel boschetto silenzioso la speranza, prima così flebile, iniziò a consolidarsi, fragile ma tangibile. Un laboratorio virtuale, una mente artificiale capace di sondare l'abisso temporale senza esporli ulteriormente. Era una follia, ma era anche l'unica via. Si avvicinò a Luca, posandogli una mano sul braccio, lo sguardo intenso, quasi febbrile. "Luca," la sua voce era un sussurro roca, quasi inudibile, ma carica di un'urgenza che trapassava l'aria, "capisci cosa significa questo? Non è più una questione accademica, è la nostra vita. La loro. Quel che Morandi ha detto... le minacce, la sorveglianza... non erano parole al vento. Sono lì, ci osservano. Ogni nostro passo, ogni dato che viene elaborato, ogni ombra. Se la nostra 'ricostruzione' dovesse trapelare, se scoprissero che stiamo continuando... che abbiamo aggirato il loro controllo... ci distruggeranno, non solo io. Tu, Valentina, Eloisa, Giulio. Dobbiamo operare nell'ombra più profonda, come fantasmi. Nessuno, e dico nessuno, dovrà sapere di questo. È un segreto più grande della nostra stessa esistenza, e più fragile di un soffio. È la nostra ultima possibilità, ma anche il nostro più grande rischio. La discrezione, ora, è la nostra unica armatura."
Luca annuì lentamente, il suo viso paffuto che si era fatto insolitamente serio, gli occhi dietro gli occhiali spessi che riflettevano una comprensione profonda e consapevole del pericolo. Non c'era traccia della sua solita goffaggine, solo una determinazione risoluta. "Lo capisco, professore," rispose, la sua voce ora ferma, priva di ogni esitazione. "E non pensavo certo di continuare a Scandicci, con tutto quello che è successo. Non siamo così sprovveduti." Fece una breve pausa, e un sorriso sottile, quasi impercettibile, gli si disegnò sulle labbra. "Ho già pensato a un posto. Una vecchia casa di mia zia nel Valdarno, fuori da qualsiasi rotta, sperduta tra gli olivi secolari e i campi che nessuno coltiva più. È una proprietà di famiglia che giace dimenticata da decenni, un luogo che non figura in alcun registro moderno di abitazione, neanche i miei parenti più stretti sanno che è ancora in piedi o dove sia esattamente. L'ho usata occasionalmente per qualche progetto personale, lontana da sguardi curiosi. È un fantasma nella campagna toscana. Lì avremo la calma, l'isolamento e la sicurezza per lavorare indisturbati. Un ambiente completamente offline, nessun nodo di rete che possa essere intercettato, nessun algoritmo predittivo che possa trovarci. Sarà il nostro santuario, il cuore della nostra contro-indagine. Il tempo stringe, ma la nostra mente concettuale ha bisogno di un velo d'ombra per svelare i segreti di questo varco."
(Continua nei prossimi post tutti i lunedì)
Nessun commento:
Posta un commento