Il viaggio di ritorno verso l'attico di Coverciano fu un'odissea ovattata, un susseguirsi di luci al plasma e ologrammi sfocati che danzavano oltre i finestrini della navetta autonoma, mentre ogni sorso di whiskey sembrava aver aggiunto un ulteriore strato di nebbia alla sua mente già tormentata. Le gambe, quando scese dal veicolo, gli sembravano pesanti come piombo, il passo incerto, ogni movimento un atto di pura volontà contro la gravità della sua sconfitta. L'aria notturna di Firenze, così tersa e pulita, gli parve acre, il profumo dolce della vegetazione dei balconi un'offesa ai suoi sensi intorpiditi. Varco la soglia di casa, e il silenzio ovattato dell'attico lo avvolse come un sudario. Eloisa era lì, in salotto, seduta sul divano, una figura immobile nell'ombra discreta delle luci modulabili. Il suo sguardo appena lo vide, si accese di un'allerta immediata, un'espressione di profonda e attonita preoccupazione che non aveva bisogno di parole per cogliere l'abisso in cui era precipitato.
Vittorio non disse nulla, non subito. Si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona di fronte a lei, il corpo che gli doleva in ogni muscolo, le spalle curve sotto un peso invisibile ma schiacciante, gli occhi verdi spenti che fissavano un punto indefinito oltre il volto di Eloisa, come se il vuoto che sentiva dentro si proiettasse nella stanza. Si tolse gli occhiali con un gesto lento e stanco, sfregando le tempie, e il suo respiro uscì in un gemito soffocato. "Mi hanno... mi hanno sollevato dall'incarico," mormorò infine, la voce rotta, un sussurro appena percettibile che portava il peso di un mondo che gli crollava addosso. Non c'erano lacrime, solo una rassegnazione totale, una distruzione che gli aveva prosciugato ogni emozione. "Sanno, Eloisa. Sanno dei dati, delle anomalie. Sanno che c'è qualcosa lì sotto che va oltre la nostra comprensione." La sua voce si affievolì fino a scomparire, il volto pallido e scavato che si contraeva in una smorfia di dolore e impotenza. In quel silenzio carico di un terrore insopportabile, Eloisa si avvicinò a lui, stringendogli le mani, il suo sguardo un misto di paura viscerale e un amore sconfinato per quell'uomo spezzato, travolto da una scoperta che aveva strappato via non solo la sua carriera, ma la loro stessa, fragile normalità.
Il retrogusto amaro del whiskey gli bruciava ancora in gola, ma era nulla in confronto al sapore di cenere che la confessione gli lasciava nell'anima. Le sue mani, fredde e tremanti, rimasero strette in quelle di Eloisa, un'ancora precaria in un mare di disperazione. Le parole gli uscirono spezzate, un sussurro rauco che a malapena superava il ronzio sommesso degli apparecchi domestici smart. "Eloisa... se potessi tornare indietro," mormorò, e ogni parola era un macigno di dolore. I suoi occhi verdi, un tempo brillanti di un'intelligenza febbrile e di una curiosità insaziabile, erano ora opachi, velati da un'amara e profonda rassegnazione. Non c'era più traccia dell'ambizione sfrenata che lo aveva spinto a sondare l'ignoto, solo la stanca accettazione di una sconfitta totale. "Se potessi... fare in modo che non fosse mai successo. Che non avessi mai trovato quel punto sotto la Cupola, quelle maledette anomalie... Lo farei, Eloisa. Senza esitare un istante." Un brivido freddo gli corse lungo la schiena, non per la paura, ma per la portata di quel desiderio, una rinuncia totale a ciò che era stata la sua vita, la sua passione più grande. "Avrei voluto non essere mai stato coinvolto in tutto questo. È un peso che ci sta distruggendo, che mi sta distruggendo. La mia carriera, la nostra pace, la paura che ti leggo negli occhi e che mi tormenta ogni istante... Tutto. Avrei voluto che quel segreto... fosse rimasto sepolto per sempre, lontano da noi, lontano da Firenze." La sua voce si affievolì fino a scomparire, il volto pallido e scavato che si contraeva in una smorfia di dolore e impotenza, mentre il silenzio nella stanza si caricava del peso di quella confessione e del terrore che li avvolgeva.
Il sapore di cenere che la confessione gli lasciava nell'anima era così acuto da far passare in secondo piano persino il bruciore del whiskey. Le sue mani, fredde e tremanti, rimasero strette in quelle di Eloisa, un'ancora precaria in un mare di disperazione che minacciava di inghiottirlo. Ma proprio mentre Vittorio sprofondava nel suo lamento, gli occhi marroni di Eloisa, pur velati di lacrime, accesero una scintilla inattesa, non di rassegnazione, ma di una ferma e incrollabile determinazione. Lentamente, la mano di Eloisa si staccò da quella del marito, solo per posargli il palmo sul viso stanco, una carezza che era un richiamo, non un commiato. "Non puoi, Vittorio," sussurrò, la voce rotta ma intrisa di una forza che lui non gli aveva mai sentito, "Non puoi arrenderti. Questo non è un errore che puoi semplicemente cancellare o un fardello da seppellire e dimenticare. È una scoperta, la più grande della storia. Una conoscenza che ti appartiene ora, nel bene e nel male. La fisica, la filosofia, ci insegnano che la verità, una volta svelata, esige di essere compresa. Tu hai squarciato un velo millenario, e ora quella realtà, per quanto terrificante, ti chiede di affrontare il suo enigma. Il dolore che provi è legittimo, ma la resa non è un'opzione."
Le parole di Eloisa, intessute di una logica che trapassava il terrore, iniziarono a dipingere una via d'uscita da quell'abisso di sconfitta. "Non tornerai in quel sito, non finché le loro ombre ci sorveglieranno e le loro minacce penderanno sulle nostre teste. Ma i dati, Vittorio!" Il suo tono si fece più urgente, quasi un imperativo. "Hai terabyte di informazioni, raccolte con mesi di lavoro, con la tua stessa intuizione. Hai Luca e Valentina, che hanno dimostrato di credere in te e di essere pronti a seguirti nell'ignoto. E hai quella 'mente concettuale' che ha già visto oltre i nostri confini, che ha svelato la vera, terrificante natura di questo fenomeno temporale. Non è finita, amore mio. Tu non sei stato sollevato dal compito di capire, solo dall'obbligo di farlo sotto i loro occhi. La tua ricerca può e deve continuare. Qui, nel tuo studio, il rifugio della tua conoscenza. Devi decifrare ogni frammento, ogni implicazione di questa distorsione temporale, devi capire come funziona questa 'piega' e, soprattutto, come controllarla, come impedirle di lacerare il nostro tempo. Non per De Santis, non per le agenzie governative, ma per noi. Per Giulio. Per questa Firenze che, a nostra insaputa, respira sul confine di un'eternità instabile, per il mondo."
Vittorio lasciò il divano e le mani calde di Eloisa, il suo cuore ancora scosso dalle lacrime e dalla forza inattesa che lei gli aveva infuso. La sua determinazione non era una fiammata bruciante, ma un fuoco lento, una brace che covava sotto la cenere della sconfitta. Le parole di Eloisa: "Non puoi arrenderti, la verità esige di essere compresa", risuonavano nella sua mente, un mantra che lo spingeva a muoversi. Si ritirò nel suo studio, la porta scorrevole che si chiudeva alle sue spalle con un sibilo discreto, isolandolo dal resto della casa, dal mondo che minacciava di crollargli addosso. L'aria, lì dentro, era satura dell'odore leggero di ozono e silicio, un profumo che era al contempo un rifugio e una prigione. Si lasciò cadere sulla poltrona ergonomica di fronte ai monitor spenti, le mani che sfioravano la tastiera olografica, il suo santuario digitale. I suoi occhi verdi, pur stanchi, iniziarono a riaccendersi di una luce febbrile. Non c'era tempo per la disperazione, non ora. Aveva i dati, aveva l'intuizione, aveva una scadenza. Con un movimento quasi meccanico, attivò gli schermi curvi, che si accesero con un bagliore freddo, proiettando nell'aria ologrammi fluttuanti di formule matematiche e visualizzazioni complesse. La sua mente, abituata a navigare in astrazioni, si lanciò nell'analisi, cercando un appiglio, un errore nel ragionamento, un nuovo percorso. Equazioni si materializzavano e si dissolvevano con un gesto della mano, grafici di risonanza quantistica si deformavano e si ricomponevano, nel tentativo di far emergere una logica, una chiave di lettura che gli era sfuggita, o che l'IA di Luca aveva già suggerito con la sua crudele lucidità.
E fu proprio in quel vortice di numeri e simboli che il nome di Luca gli balenò in mente come un'illuminazione improvvisa, un raggio di sole che squarciava le nubi. Luca, con la sua mente geniale e l'accesso a quella 'intelligenza artificiale concettuale' che aveva osato sondare l'abisso temporale. Il modello dell'IA era lì, nel suo appartamento a Scandicci, blindato, isolato dal monitoraggio ufficiale dell'Università e, forse, dalla sorveglianza degli agenti. Era l'unica vera risorsa che gli rimaneva, la sua ultima speranza per comprendere e, forse, controllare la distorsione temporale, senza dover operare sotto gli occhi scrutatori di Morandi e Costa. La strada era chiara, l'unica strada possibile: doveva contattare Luca, dovevano riprendere l'analisi dei dati, dovevano trovare quella "chiave" che Eloisa aveva evocato, quella che avrebbe permesso loro di comprendere e manipolare il varco. Ma mentre il piano si faceva strada nella sua mente, una morsa gelida gli strinse lo stomaco. Il ricordo degli occhi di ghiaccio di Morandi, delle sue parole taglienti sulla "sicurezza nazionale" e sulle "conseguenze estremamente gravi", tornò a perseguitarlo con una nitidezza agghiacciante. Il segreto di stato. Il terrore di esporre Luca e Valentina, e persino se stesso e la sua famiglia, a una minaccia invisibile ma onnipresente, era un fardello quasi insopportabile. Era un rischio immane, un passo nel buio che avrebbe potuto rivelarsi fatale.
(Continua nei prossimi post)
DA OGGI TUTTE LE PUNTATE DE "IL VARCO DI FIRENZE" SARANNO PUBBLICATE UNA VOLTA LA SETTIMANA OGNI LUNEDÌ
Nessun commento:
Posta un commento