Giulio annuì, il suo volto da adolescente impassibile, ma la mente un turbine di pensieri. "Sì, mamma," mormorò, la voce bassa, senza traccia della sua solita vivacità. "A scuola nessuno ha più detto niente di quelle... cavolate." Si strinse nelle spalle, un gesto che voleva essere di noncuranza, ma che tradiva la ferita ancora aperta della derisione. Eppure, sotto la finzione di aver superato l'incidente, la sua preoccupazione per l'assenza del padre era densa e palpabile. Non era solo l'idea della "consulenza urgente"; era il ricordo delle parole udite, dei toni sommessi, del terrore negli occhi di Vittorio, quel "varco che non doveva aprirsi completamente". Quel giorno, l'aveva sentito chiamare "un abisso temporale". Non era roba da videogiochi, lo sentiva, nonostante Massimo e tutti gli altri. Era qualcosa di reale e terrificante, e ora il papà era sparito, immerso in quel segreto che lo consumava, lasciando a casa un'eco silenziosa e un peso che Giulio, pur senza capirlo del tutto, sentiva gravargli sul cuore con la stessa, fredda intensità.
Eloisa tentò di riprendere il filo di una conversazione che si era fatta inconsistente, un fragile tentativo di riempire il silenzio con rassicuranti banalità, ma il sorriso le si congelava sulle labbra, incapace di nascondere la tensione che le stringeva il petto. Giulio, invece, continuava a fissare le interfacce olografiche che fluttuavano sopra il tavolo, mordicchiandosi il labbro inferiore, il suo corpo teso e immobile, come una statua di adolescente intrappolato in un silenzio che si faceva più eloquente di mille parole. La tazza di bevanda energizzante restava intatta, il suo profumo dolce-amaro un contrasto stridente con l'amarezza che ormai attanagliava il ragazzo. Improvvisamente, quasi come se una crepa si fosse aperta nel suo muro di difesa, Giulio depose il visore sul tavolo con un gesto leggero ma che a Eloisa parve un tonfo sordo, capace di spezzare la finta normalità. I suoi occhi chiari, ancora un po' velati dall'ombra della derisione subita a scuola, si riempirono di una tristezza profonda, una vulnerabilità inaspettata. La voce gli uscì in un sussurro rauco, quasi un singhiozzo represso, che squarciò il velo di controllo che Eloisa aveva cercato di mantenere. "Mamma," iniziò, e la parola gli tremò sulle labbra, "io... io ho paura. Per papà. Non è vero quello che dici tu, dell'incarico riservato. So che è successo qualcosa. Quella cosa sotto il Duomo... mi fa paura. E lui... lui è lì, vero? Lì dentro, con quel segreto?"
Le parole di Giulio colpirono Eloisa come una scossa elettrica, annullando di colpo la maschera di composta tranquillità che aveva faticosamente indossato. Il suo cuore si strinse in una morsa, la paura per Vittorio che si fondeva con l'angoscia di vedere il figlio così vulnerabile, il suo viso da adolescente improvvisamente fragile, come quello di un bambino spaventato. Allungò una mano e gli accarezzò i capelli umidi, un gesto automatico di conforto che tradiva la sua stessa, profonda inquietudine. "Amore mio," sussurrò, la voce rotta dalle lacrime che le bruciavano gli occhi e che ora, con la confessione del figlio, non riusciva più a trattenere. "Lo so. Anch'io ho paura. Ma tuo padre... è forte. E stiamo facendo di tutto per capire, per risolvere." Non potè rivelargli di più, non ancora, la minaccia degli agenti e la reale portata del varco erano un fardello troppo grande per le sue giovani spalle. Ma in quell'abbraccio silenzioso che si scambiarono, in quella comunione di terrore e amore, Giulio trovò un barlume di consolazione, una conferma che, per quanto grande fosse il segreto del padre, non era solo ad affrontarlo.
Nel Valdarno intanto, il ronzio febbrile dei server saturava l'aria terrosa della cantina, un contrappunto tecnologico all'odore persistente di muffa e pietra antica. Qui, nel cuore nascosto del Valdarno, tra mura che avevano visto secoli scorrere indifferenti, la loro missione clandestina prendeva vita, avvolta nell'isolamento impenetrabile che Luca aveva così sagacemente predisposto. Sul tavolo improvvisato, ma impeccabilmente organizzato, gli schermi curvi proiettavano diagrammi ancora dormienti e interfacce olografiche attendevano di essere attivate, immerse in una luce fredda che accentuava la serietà dei loro volti. Vittorio, con il drive criptato ora al sicuro nel mainframe di Luca, si muoveva tra le apparecchiature, gli occhi verdi che scrutavano ogni dettaglio con una meticolosità quasi ossessiva. La stanchezza gli scavava ancora le occhiaie, ma la determinazione ritrovata, accesa dalle parole di Eloisa e dalla geniale lungimiranza di Luca, brillava in lui come una brace inestinguibile. Accanto a lui, Valentina preparava i sensori miniaturizzati per la calibrazione finale, il suo volto concentrato incorniciato dai ricci scuri, ogni gesto preciso e carico di consapevolezza. Il varco simulato, quella sottile increspatura olografica al centro della Cupola digitale che fluttuava al centro della cantina, tremolava nell'aria, una silenziosa promessa di vertigine temporale.
Il primo passo era una calibrazione delicata, un battito di prova per sondare l'abisso senza precipitarvi, per "ascoltare" la risonanza del tempo senza lacerarne la trama. Luca, seduto alla console principale, le mani che danzavano con grazia e rapidità sulla tastiera olografica, era il maestro di cerimonie di quel rito proibito. "Tutto pronto, professore," mormorò, la voce quasi un sussurro nel concerto tecnologico che ora riempiva lo spazio. "Stiamo per iniettare una micro-pulsazione quantistica nel modello del varco. Vogliamo osservare le risposte più basilari, le primissime increspature nella cronologia simulata, senza tentare alcuna interazione profonda. Solo un 'ascolto' controllato, per validare la fedeltà della simulazione e confermare la sua natura temporale." Vittorio annuì, il cuore che gli martellava contro le costole con la forza di un tamburo, l'adrenalina che gli scorreva nelle vene. Valentina posizionò gli ultimi micro-sensori ottici attorno alla proiezione olografica della Cupola, i suoi occhi che monitoravano le letture preliminari, il suo intuito scientifico che già cercava schemi. Con un ultimo sguardo di intesa tra i tre, Luca premette un comando. Un'onda di luce blu, appena percettibile, si propagò dalla console, attraversò i circuiti e si immerse nel cuore tremolante del varco simulato. Il ronzio dei server si intensificò per un istante, e sugli schermi, i diagrammi di risonanza iniziarono a danzare in pattern complessi, mostrando le primissime, spaventose, fluttuazioni temporali. Il tempo, nella sua manifestazione più astratta e incontrollabile, aveva appena risposto al loro tocco invisibile.
(Continua nei prossimi post tutti i lunedì)